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NESSUNO PIU' CANTA PER STRADA

Ah no, non è nostalgia. Quella l’ho provata quando non dovevo, ed ero un ragazzo. Nostalgia di posti
dove non ero mai stato per davvero, che uscivano da libri per l’infanzia…
Stavo crescendo in una cittadina piatta, e senza magia, e gliela costruivo attorno a dettagli che sbiadivano ogni giorno un po’ come vecchie cartoline. Non c’era più il cortile del cesso alla turca.
Poi al cinema avevano tolto la televisione dal palcoscenico. Al bar Rio non arrivavano più i militari americani. E con loro se n’era andato il primo juke box…
Era un mondo semplice, quell’Italia, che non sapeva di essere sul punto di diventare passato per sempre.
Questi no, questi sono gli anni ’80. Dieci anni che ci hanno cambiato, sino a quel 1990, quando arriva il primo telefonino No, non sono uno che disprezzi il presente, o vagheggi un passato più felice  di quanto apparisse allora, in corso d’opera. Non mi ostino a fermare il tempo.
Solo mi chiedo il perché del silenzio di quei canti randagi. Non è stata la radio a farli zittire, c’era anche allora, e usciva dalle case come un profumo di cucina.
Non è stata la prepotenza dei canti collettivi, in una gita in pullman, in un corteo politico. Sono cori attutiti anche quelli, adesso. Non sono state le cuffiette dello smartphone e neppure il Karaoke.
Le piccole città e le città grandi, e tutta l’Italia, a un certo punto ha semplicemente smesso di cantare, imbambolata.

 

 

 

 

«Ho vagabondato come un predicatore che non ha morali da spacciare, ma solo curiosità sue da soddisfare. 
Gli anni di piombo erano – quasi – passati, e non c’erano più bandiere da sventolare…
Ho provato a raccontarli, quegli anni in cui la televisione cambiava il paese e non aveva ancora cambiato me…»

Un giornalista felice e sconosciuto, stanco di guerre, nell’Italia degli anni ’80. Articoli fatti per durare un giorno, e restati a testimoniare un mondo che cambiava.

 

 

 

NESSUNO PIU' CANTA PER STRADA

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